Trieste - Via Carducci già Via del Torrente
La via del Torrente, cosi chiamata dalla metà del Settecento per la presenza del torrente Settefontane che vi scorreva sotto, venne intitolata al grande poeta italiano G. Carducci. La proposta, fatta da F. Venezian, esponente di spicco dell’irredentismo triestino, fu accettata d'urgenza, appena giunta la notizia della morte del Poeta, in fretta e furia, già alla mattina, per non permettere alle autorità austriache il tempo di un diniego. La delibera municipale venne emanata, infatti, primi in tutt’Italia a dedicare al poeta una via, il 17.2.1907, proprio il giorno dei suoi funerali, precisamente il giorno dopo la sua morte, avvenuta esattamente il 16 febbraio del 1907. Tale denominazione venne temporaneamente soppressa dalle autorità austriache nel periodo della guerra, tra il 1915 e il 1918, quando, causa motivazioni politiche, fu ripristinato il vecchio toponimo. (Fonte: Dino Cafagna)



Sopra:
Casa Junz Calabrese ( ex Mordo) in via Carducci del 1902-1904 dell'Architetto Giovanni maria Mosco ( 1861-1924) in stile Liberty

Palazzo tra Via Giuosuè Carducci e Via Paolo Reti

Palazzo tra Via Giuosuè Carducci e Via Paolo Reti

Sopra: Il Palazzo, sede della Giunta regionale dal 1967, venne costruito tra il 1929 e il 1931. L'area sulla quale venne realizzato l'edificio era di proprietà dell'Istituto pensioni per gli impiegati privati, che aveva commissionato nel 1924 un progetto per l'immobile all'architetto Zammattio. I lavori, appena avviati, furono sospesi a causa della fusione dell'ente con la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali. Nel 1929 si decise di riavviare l'opera sulla base di un nuovo progetto, elaborato dall'architetto Ugo Giovanazzi.

La costruzione venne portata a termine ed inaugurata nel novembre del 1931. La costruzione del palazzo s'inserisce nel rinnovamento urbanistico di questa zona della città avvenuto a partire dagli anni Venti del XX secolo, che interesso in particolare l'asse viario Carducci-Sonnino. Descrizione morfo - tipologica:L'edificio, costruito all'angolo tra via Carducci e via del Coroneo, presenta una pianta rettangolare con corte interna. La struttura si ispira allo stile rinascimentale italiano ed è caratterizzata da un alto basamento a bugnato rustico scandito da aperture ad arco. Sopra al basamento le facciate sono solcate orizzontalmente da importanti cornici marcapiano e contraddistinte da un doppio ordine gigante di paraste e semicolonne. Termina la costruzione un cornicione di gusto classico. All'interno un'elegante scala elicoidale raccorda i vari piani della struttura. (da biblioteche.comune.trieste.it)

Sopra: Casa Rosenkart - L'immobile sorge in via Giosuè Carducci, già Via del Torrente, il cui nome deriva dalla presenza di un canale chiamato di Klutz, interrato nel 1850. La zona è interessata da una forte crescita demografica agli inizi dell'Ottocento quando vengono realizzati importanti lavori di bonifica e recupero dell'area, seguiti da un'importante fase di sviluppo edilizio. L'edificio, noto anche come Casa Bryce dal nome di uno dei suoi antichi ospiti, viene eretta sul sito in origine occupato da costruzioni di proprietà dei fratelli A. e L. Kafler, per volere della famiglia Rosenkart. Il palazzo , di cui non esiste il progetto originario, viene costruito agli inizi dell'Ottocento; diversi disegni, invece, testimoniano le molteplici modifiche apportate alla fabbrica nel corso dello stesso secolo. Due disegni datati 1837 e 1838 descrivono i progetti presentati dall'architetto Antonio Buttazzoni, che interviene sull'edificio con parziali sopraelevazioni. Al 1840 risale l'intervento di Francesco Bonomelli a cui si deve l'aggiunta dell'attico timpanato e tutta la decorazione della facciata principale.
Uno degli elementi più qualificanti dell'edificio è il frontone a timpano che chiude il prospetto principale; tale elemento viene ricordato anche dalle fonti contemporanee, tra cui Giuseppe Righetti che elogia "il carattere nobile" dell'edificio, soffermandosi in particolare su "quel grandioso frontone che sorge nel mezzo fra due terrazze con balaustra, che dà a quel prospetto quella piramidale conformazione, segnala veramente codesta casa per una delle migliori..." (Firmiani, 1989, pp. 197-198). Rispetto al disegno di Bonamelli in fase di realizzazione non sono state eseguite le quattro colonne doriche a sostegno del balcone del prospetto principale. Successive modifiche hanno interessato l'interno del palazzo, tra cui l'ampliamento dell'ultimo piano nel 1866 per ospitare uno studio fotografico. Tra il 1849 ed il 1898 vengono apportate alcune variazioni al pianoterra per la creazione di ambienti destinati ad attività commerciali. L'edificio ospitava la sede della Scuola Superiore di Commercio, fondata nel 1870 dal barone Pasquale Revoltella e nucleo originario della nascente Facoltà di Economia; tra gli insegnanti della scuola si ricordano ItaloSvevo e James Joyce, per le cattedre di inglese e corrispondenza commerciale. Al pianoterra si trovava dal 1909 il Restaurant Centrale Pilsen, gestito da Guido Ertel e Luigi Zennaro, chiamato Ristorante Fontana, poi da Dante, conosciuto come trattoria tipica della zona. (da biblioteche.comune.trieste.it)

Sopra e a destra, Palazzo Talenti del 1907 tra Via Carducci, Via Valdirivo, Via Milano e Via Mercadante - Ai primi del 900 aveva sede lo storico Caffè Nova York

A sinistra: Largo Santorio Santorio. Il largo si trova al di là del Ponte della Fabra, e di via del Torrente, attuale via Carducci. A sinistra c'è l'ex via del Farneto, oggi Via Ginnastica, che conduceva all'omonimo bosco e a destra via del Tintore oggi Via Tarabocchia.
La via del Tintore, oggi via Tarabocchia, prendeva nome da una tintoria che si stabilì nel 1785 nelle adiacenze di questa via appena nata, di cui era proprietario un certo "Giuseppe da Udine". (Fonte Dino Cafagna)

Dal 1901 questo largo ricorda il capodistriano Santorio Santorio,nato il 29 marzo 1561, studiò a Venezia in casa della famiglia Morosini e all’età di quattordici anni entrò nell’Università di Padova, nella quale si laureò in fisica e in medicina teorica nel 1582. Esercitò la professione di medico per cinque anni a Padova e nel territorio veneto finché, nel 1587, divenne medico alla corte di Sigismondo III di Polonia, Santorio rimase in Polonia quattordici anni, rientrato in Italia, si stabilì a Venezia. Nel 1611 venne nominato professore di medicina teorica all’Università di Padova impegno dal quale si ritirò nel 1624. Docente ammirato e seguito, Santorio divenne noto in tutta l’Europa per la sua opera scientifica, che occupa uno spazio non indifferente nella storia della medicina moderna. Morì a Venezia il 22 febbraio 1636. (Da Vie e Piazze di Trieste Moderna di A.Trampus)

Sopra e sotto: Via Giosuè Carducci, Via Cesare Battisti, Largo Don Francesco Bonifacio. Casa Chiozza. L'immobile sorge sull'area in origine occupata da terreni estesi al di là del ponte detto di Chiozza sul canale Torrente, dal cui interramento agli inizi dell'Ottocento si forma l'attuale Via Giosuè Carducci. La zona diventa già dalla fine del Settecento proprietà di Carlo Luigi Chiozza, industriale genovese, a capo di una importante fabbrica di saponi. Il ricco imprenditore estende le sue possessioni acquistando vasti latifondi limitrofi alla sua fabbrica, su cui decide di far erigere un complesso di edifici poi conosciuto con il nome di "Isola di Chiozza", limitata dalle già vie Torrente, Acquedotto, Toro e Chiozza, quest'ultima livellata e regolata nel 1838. Il borgo Chiozza "comprende in tutto 12 case" tra cui "il palazzo domenicale" commissionato da Carlo Luigi Chiozza nel 1801 (Generini, 1968, pp. 146-147).
L'immobile viene realizzato su progetto di Antonio Mollari "sopra 3 file d'arcata, due delle quali fino dalla costruzione del palazzo sono ad esercizio di caffetteria. Lo storico "Caffè Ferrari", così chiamato dal nome del suo gestore Carlo Ferrari, viene ricordato come ritrovo di intellettuali ed artisti; il locale viene gravemente devastato il 23 maggio del 1915 causando la perdita delle opere dell'artista udinese Domenico Fabris.

Il palazzo, restaurato già nel 1857, viene acquistato agli inizi del Novecento dalle Assicurazioni Generali. In tale contesto si decide la demolizione dell'intera struttura dell'Isola Chiozza per lasciare spazio all'edificazione del nuovo complesso, costituito da due grandi edifici contigui su Via Giosuè Carducci e un terzo al principio del Viale Venti Settembre, già Via dell'Acquedotto, rappresentato dalla fabbrica con il Teatro Excelsior.
L'immobile in esame fa parte del progetto di sistemazione urbanistica dell'area Chiozza, affidato all'architetto Giorgio Polli. La costruzione del palazzo, conosciuto come Casa Chiozza, prende avvio su progetto datato 1925, per essere completato solo nel 1927. Rispetto ai primi due disegni del 1914 e 1916, il progetto definitivo del 1925 recupera i moduli neoclassici impiegati nell'edificio preesistente del Mollari. Giorgio Polli interviene sulla nuova struttura con l'aggiunta di un piano su cui viene collocato l'originale fregio, alzando l'altezza delle arcate del pianoterra e inserendo colonne ioniche di ordine gigante al posto delle lesene doriche. Il palazzo ospita uffici, unità abitative e al pianoterra attività commerciali.
L'edificio, con pianta irregolare, è costituito da sette livelli fuori terra. Affaccio principale su Portici di Chiozza, secondari su Viale Venti Settembre e Via Giosuè Carducci. Il prospetto principale presenta al pianoterra una struttura formata da un porticato che si affaccia sullo spazio antistante con sette aperture ad arco a tutto centro a bugnato che proseguono lateralmente con una sola apertura per fianco; sul porticato si prono fori commerciali conclusi al livello superiore da aperture a lunetta. L'alto zoccolo a bugnato comprende il piano superiore evidenziato da una cornice marcapiano aggettane e articolato da finestre rettangolari intervallate da rilievi in pietra raffiguranti scene mitologiche. I piani superiori sono trattati ad intonaco di colore giallo su cui emerge il bianco della pietra utilizzata per le cornici delle aperture e per la struttura colonnata.

Nota - Sopra a destra: I soggetti dei bassorilievi sono rappresentazioni allegoriche di episodi storici che dal Risorgimento giungono alla liberazione di Trieste, trasponendo l’ambientazione degli avvenimenti dal 1831 al 1918, in un immaginario teatro all’antica in cui si fondono richiami molteplici, dalle suggestioni dagli altorilievi romani imperiali adrianei e dai trionfi del Mantegna. Bassorilievo allegorico dell'anno 1918. (Fonte: Dino Cafagna)

Al centro della facciata spicca una loggia a balaustra aggettante su mensoloni a voluta che sostiene due colonne sanalate di ordine gigante; la superficie muraria rientrante è caratterizzata da una porta finestra con trabeazione classica e fregio decorato da motivi a ghirlande a rilievo, mentre tra le due finestre superiori si trova un pannello a rilievo rappresentante armi e strumenti. A conclusine una cornice a meandri. Alle estremità laterali della facciata ritorna il motivo delle doppie colonne di ordine gigante su alti piedistalli con alla base finta loggia a balaustra. La superficie muraria compresa tra i colonnati presenta fori finestra rettangolari con semplice cornice in pietra, che solo al livello inferiore sono arricchite da cimasa lineare sorretta da mensoloni a voluta. A coronamento della superficie parietale corre un fregio con superiore cornice a dentelli. L'ultimo piano è caratterizzato da una terrazza balaustrata abbellita da statue su cui si aprono porte finestra ad arco e finestre rettangolari con fregio decorato da motivi a ghirlanda. Sulla sommità spicca il gruppo scultoreo raffigurante le immagini dell'Industria e del Commercio. I prospetti laterali sono privi della struttura porticata al pianoterra, su cui si aprono fori commerciali su rivestimento a bugnato. Rispetto alla facciata principale le laterali si differenziano nella parte centrale, occupata da una serie di sei lesene lisce di ordine gigante con balcone balaustrato alla base. A conclusione del prospetto si trovano balconcini in ferro battuto su cui si aprono porte finestre inquadrate da coppie di colonnine. Sulla sommità sono collocati grandi vasi con decorazioni.

Elementi ornamentali esterni: Portico ad arcate arricchito per la parte degli intradossi delle volte a crociera da decorazioni a rilevo in pietra con motivi geometrici e floreali. Pannelli a rilievo raffiguranti scene mitologiche e decorazioni con armi e strumenti collocati su tutti e tre i lati dell'edificio. Fregio recante la scritta "ASICURAZIONI GENERALI" a coronamento della superficie muraria di tutti e tre i lati dell'edificio. Gruppi scultorei raffiguranti statue femminili collocate a coronamento della terrazza balaustrata della facciata principale. Gruppo scultoreo i pietra raffigurante le personificazioni dell'Industria e del Commercio collocato sulla sommità della facciata principale. Vasi di grandi dimensioni decorati con motivi floreali e rilievo collocati sulla sommità di tutti e tre i lari dell'edificio. (da:biblioteche.comune.trieste.it)
Palazzo all'angolo tra via Carducci e Via della Sorgente
Trieste: Casa Berlam: Via Giosuè Carducci 24. Giovanni Andrea Berlam, nel 1879, realizzò questo edificio sul proprio fondo e con l'intervento anche del figlio Ruggero nell'ideazione della struttura, in particolare per quanto riguarda il prospetto principale. Nel 1886 fu presentato all'Ufficio tecnico comunale un progetto di ampliamento dello stabile con un corpo a due piani, indicato come "Edificio con Pinacoteca"
Dal 1887 l'edificio ospitò la sede del Circolo Artistico di Trieste e, fino alla prima guerra mondiale, il Conservatorio Giuseppe Verdi. Gli elementi architettonici riferibili ad esempi medievali e rinascimentali, quali la ricca decorazione della superficie parietale, si devono all'idea del venticinquenne Berlam. La facciata su Via Carducci è arricchita da colonne e lesene, archi a tutto sesto e motivi decorativi quali ghirlande, festoni e gruppi scultorei.
L'edificio, a cinque piani fuori terra, presenta una facciata ripartita verticalmente in tre sezioni. Il basamento presenta un rivestimento a bugnato mentre i piani superiori sono distinguibili per il fondo in finto mattone. La superficie del pianoterra e del primo piano è caratterizzata nella parte centrale da una leggera soprgenza, mentre nei piani superiori l'articolazione è messa in evidenza da semicolonne e lesene angolari. A movimentare la facciata superiore intervengono una serie di aperture a tutto sesto; dal terzo livello le finestre sono im preziosite da elegnati decorazioni monocrome a grottesca e da riquadri con festoni di foglie e frutta a rilievo di chiara ispirazione rinascimentale. Figure di putti danzanti spiccano alla base delle semicolonne centrali del piano nobile. Rilievo assumono i tre stemmi con soggetti coronati d'allora posti in facciata. (da: biblioteche.comune.trieste)

Via Giosuè Carducci 22. Casa Finzi Leibmann del 1877, progetto dell’ architetto Giovanni Andrea Berlam, di ispirazione manierista e sanmicheliana. Passò poi alla famiglia Grandi.

Palazzo all'angolo tra Via Carducci e via Battisti
La via Carducci una volta era chiamata via del Torrente, perché prima ci scorreva il Torrente Grande, che venne intombato (chiuso in un canale), nel 1837, perché le sue acque inquinate (vi scaricavano le immondizie e i liquami fognari) erano diventate maleodoranti, malsane e portatrici di febbri malariche. Venne costruito un canale largo circa 7 m con tre grosse arcate in pietra arenaria che tutt'oggi sorreggono il manto stradale di quella che è via Carducci. Sotto l’incrocio tra la a via Battisti e la via Carducci, presso i Portici di Chiozza, scorrono tuttora due torrenti che qui si uniscono per formare il Torrente Grande, che, proseguendo lungo la via Carducci (una volta proprio per questo chiamata "Contrada del Torrente"), sfocia a mare. Qui l’incrocio con a destra il torrente Farneto (detto anche Starebrech o Scolio), proveniente da San Giovanni-Longera, e a sinistra il torrente Klutsch o Settefontane, proveniente da Montebello: il torrente Grande prosegue poi sotto tre arcate sotterranee. Le pietre in arenaria che formano il pavimento sono picchettate sulla superficie, perché l'acqua, che poteva scorrere impetuosamente, su una superficie ruvida, veniva rallentata da dei minivortici, cosi da moderarne il corso e causare meno danni.... Il Torrente Grande termina tra il molo IV e il molo III. (Fonte: Dino Cafagna)


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